Uno storico momento di DIO:
l’incidente stradale di Padre Sergio
e l’offerta di Teresina.
“Cos’è Padre Sergio e Teresina, che vi ha unito in questa vocazione di Paternità e Maternità Spirituale ?”.
Teresina coninua a raccontarci la storia vera di...venticinque anni fa.
Da circa un anno, con il gruppo di circa cinquanta ragazzi e ragazze,avevamo cominciato il cammino con padre Sergio quando, il 25 gennaio 1980, egli ebbe un gravissimo incidente stradale. Questo incidente avvenne di giovedì, qualche giorno prima dell’incontro che avrebbe dovuto tenere con i nostri giovani. A me sembrava strano che lui non mi avesse ancora telefonato, come era solito fare, per preparare l’incontro, e quando provai a telefonare per cercarlo, all’inizio i suoi confratelli mi dissero che non era in casa, poi ,dietro mia insistenza, mi confessarono che aveva avuto un incidente e che quindi non avrebbe potuto fare l’incontro. Il venerdi sera, rientrata a casa, ricevo una telefonata dal padre Spirituale di padre Sergio, padre Luigi Prandin (allora era Missionario Saveriano; poi ha fondato la Comunità Missionaria di Villaregia) il quale mi comunica che , dal momento che padre Sergio era in un letto di ospedale a Iglesias, con le gambe rotte e dato che l’indomani era previsto questo incontro con i giovani, avrebbe mandato un altro sacerdote per non deludere le aspettative di questi ragazzi. Io ringraziai padre Luigi per la disponibilità di un altro sacerdote e il sabato, insieme ai ragazzi, abbiamo iniziato i preparativi per la domenica, portando attraverso una scorciatoia, tutto quello che ci sarebbe servito per l’indomani, comprese le sedie della Parrocchia: sembravamo tante formichine in fila che trasportavano il cibo!
La domenica, quando arrivò il sacerdote (un certo padre Hernando) fece una bella catechesi, addirittura in alcuni momenti sembrava fosse padre Sergio, e quindi i ragazzi ne furono molto contenti. Come facevo di solito, dato che questi incontri con il sacerdote non erano frequenti, ho registrato tutto, e poi, poco alla volta, ho fatto riascoltare la catechesi negli incontri settimanali. Nel frattempo pregavamo sempre per padre Sergio, addirittura i ragazzi avevano stabilito un momento (verso mezzogiorno) in cui tutti quanti, ovunque si trovassero, si sarebbero raccolti per poter pregare in comunione per lui. A scuola, questo momento, coincideva con il cambio dell’ora, e l’insegnante che entrava vedendo questi studenti raccolti in preghiera, non poté far a meno di chiederne il motivo, e, dopo che le fu spiegato, anche lei fece lo stesso. Padre Sergio fu operato il 13 febbraio e noi, andavamo a trovarlo, a piccoli gruppi, ogni sabato, coinvolgendo anche le famiglie di questi ragazzi. La sera del 13 marzo ricevetti la telefonata di padre Luigi, che mi diceva che padre Sergio era stato trasferito
d’urgenza da Iglesias a Cagliari per essere operato, in quanto gli era partito un embolo e si trovava tra la vita e la morte. Non potendo avvertire i ragazzi, poiché era notte, rimasi in preghiera fino al mattino. Le prime telefonate, per avvisare i ragazzi, le feci verso le sette dal negozio di mio fratello dove lavoravo, chiedendo loro di pregare.
Tutte le sere ci vedevamo per la messa e per un momento di preghiera insieme al parroco o ad alcune famiglie di questi ragazzi. La sera del venerdì 14 marzo venne anche padre Bruno, missionario Saveriano, confratello di padre Luigi. Egli ci disse che forse la preghiera non bastava, che bisognava fare di più; padre Sergio era un sacerdote che avrebbe fatto molto per i giovani e quindi bisognava che qualcuno si offrisse al Signore per poterlo salvare. Questa cosa ci aveva un po’ spaventato, al punto che quella sera, la nostra preghiera, non fu molto serena. Quando accompagnai padre Bruno alla porta gli esposi le mie perplessità, ma lui insistette dicendomi: “Teresina, cerca di capirmi, c’è proprio bisogno di questo!”. Tornata dai ragazzi, cercai di tranquillizzarli dicendo loro che con le preghiere stavamo facendo la nostra parte, poi però, tornando a casa, ripensavo a quanto era successo e non capivo perché le parole di padre Bruno mi avessero procurato un certo disagio.
La domenica 16 marzo, andai in parrocchia ad un incontro per catechiste e sentii che dovevo chiedere a Don Salvatore Ruggiu, il sacerdote che teneva l’incontro, un passaggio per Cagliari. Sentivo che dovevo andare a trovare padre Sergio a tutti i costi, pur sapendo che, essendo molto grave, ci potevano essere difficoltà per entrare in camera, e che essendoci uno sciopero degli autobus c’erano difficoltà per ritornare. Chiesi a Betty L., una ragazza del mio gruppo, il cui padre era mancato pochi giorni prima, di accompagnarmi. Betty chiese il permesso a sua madre, la quale le disse di non entrare nella camera di padre Sergio in quanto era lo stesso letto dove era stato ricoverato suo padre, e poteva farle male. Stranamente in ospedale non ci fermò nessuno ed arrivammo facilmente alla stanza di padre Sergio. L’infermiere mi disse che non potevo trattenermi a lungo in quanto era molto grave e per di più nella stessa stanza c’era un’altra persona in fin di vita. Betty restò fuori ed io entrai. La stanza aveva le luci notturne e padre Sergio, assistito da padre Giacomo Vaira, era sdraiato sul letto con le ginocchia tutte sporche di sangue. Mi impressionai molto, sembrava Gesù crocifisso; si lamentava e sembrava che non ce l’avrebbe fatta. Mi avvicinai lasciando sul comodino una cartellina con le lettere che i ragazzi gli avevano scritto e poi, parlandogli vicino all’orecchio, gli raccontai di quello che ci aveva detto padre Bruno, chiedendogli perdono perché non ci eravamo sentiti di offrire la nostra vita per lui. Ascoltando quelle parole padre Sergio, scuotendo la testa e ansimando, disse “no” per tre volte, facendomi capire che lui non voleva questo. Ma in quel momento, nel mio cuore, quei tre “no” diventavano altrettanti “si”, e subito uscii dalla stanza non capendo cosa mi stava succedendo.